Mi chiamo M. La mia storia è particolare ma non diversa probabilmente da tante altre: dopo qualche giorno di doloretti strani decido di fare un controllo medico, e con mia enorme incredulità scopro di essere incinta.
Immediata è la reazione di rifiuto, tant'è che non volevo dirlo a nessuno e abortire il prima possibile: io non mi sono mai vista madre, non ho un istinto materno e soprattutto non reggerei alle modificazioni del mio corpo; per non parlare delle difficoltà che ci sono al giorno d'oggi nel crescere un figlio.
E i miei genitori poi cosa avrebbero detto? Loro che mi hanno sempre giudicata incapace, che mi considerano ancora una bambina nonostante abbia più di 30 anni e un compagno da molti anni col quale convivo. Poi col passare dei giorni queste paure si rafforzavano e trovavo molti motivi per rinforzarle: io e lui abbiamo una casa, ma è piccola, due lavori a tempo indeterminato ma gli stipendi bastano a mala pena per le spese: io e lui siamo insieme da molti molti anni, ma conviviamo solo da pochi mesi, dobbiamo conoscerci, i miei genitori, come pensavo, hanno reagito molto male alla notizia.
E poi io avevo altri progetti: il lavoro, continuare gli studi, evolvere. NO, UN FIGLIO ADESSO E PROBABILMENTE ANCHE IN FUTURO NON CI STA PROPRIO! Però mentre aspettavo di fare altri accertamenti e capire che fare, altre sensazioni pervadevano la mia mente e la mia anima, e mi sono scoperta ad adottare comportamenti protettivi nei confronti di quel "pallino" che avevo visto sulla prima ecografia e che non riuscivo nemmeno a chiamare "figlio". In me si è insinuato il dubbio e ho iniziato a parlare con le amiche più fidate e con persone esperte per capire a cosa sarei andata incontro scegliendo un aborto volontario.
Fortunatamente la ginecologa, non so se per strategia o cos’altro, mi ha dato appuntamento circa una settimana dopo dicendomi di stare tranquilla perché innanzitutto avrebbe dovuto verificare se la gravidanza stava procedendo o meno e che probabilmente dato che non era riuscita a rilevare il battito, si sarebbe interrotta spontaneamente: questo mi tranquillizzò molto e mi diede modo di “respirare” e iniziare a considerare la cosa da diversi punti di vista.
Tra tutte le mie amiche più care, ho trovato accoglienza e rassicurazione: da alcune, poi, anche competenza in merito ad una sindrome, che si chiama post abortiva, e che colpisce tutte le donne che abortiscono, volontariamente o spontaneamente, con effetti psicologici disastrosi. Io valutavo solo le difficoltà intrinseche al diventare genitori, vedevo solo la mia vita cambiare radicalmente, ma non riuscivo a vedere l'immensa gioia che può dare lo sguardo innocente e il sorriso fiducioso di un bimbo che è il tuo. Inoltre non pensavo, pur lavorando nel sociale e avendo una formazione umanistica, che una scelta così, potesse avere conseguenze psicologiche così devastanti dalle quali è molto difficile uscire. In particolare la cosa che mi ha colpito di più è che la maggior parte delle volte questa non è una scelta libera, ma condizionata da stimoli esterni che nulla hanno a che fare con la volontà intima della donna, e soprattutto è una scelta dalla quale non si può tornare indietro e i cui effetti ricadono prima su una vita innocente e poi solo sulla donna che ne porta il peso per tutta la vita.
Ho iniziato ad ascoltarmi, ad isolare gli stimoli esterni che nulla dovevano avere a che fare con la mia scelta e a valutare ciò che avevo letto personalmente sulla sindrome e ciò che le amiche, con disinteressato amore, mi avevano detto. Piano piano ho cambiato idea, ho deciso di parlarne col mio compagno nel quale ho trovato, come immaginavo, accoglienza e gioia per la notizia: anche i miei genitori, col passare dei giorni si sono tranquillizzati e mi ha stupito mia madre: ha iniziato a parlarmi di quando, prima di avere me, ha abortito spontaneamente e di quanto quell’esperienza l’abbia segnata: mi ha detto che sarebbe stato faticoso allevare un bambino ma anche di quanto sia doloroso subire una perdita a causa di un aborto spontaneo...figuriamoci per uno volontario!
Sono arrivata all’ ecografia successiva con maggiore consapevolezza e fiducia anche se mi riservavo di scegliere solo dopo aver parlato con la ginecologa: abbiamo guardato attentamente il video, abbiamo sentito battere il cuore e abbiamo chiesto molte cose alla ginecologa: mi sono sentita investire da una moltitudine di emozioni ma non ho pensato neanche per un secondo a non tenerlo; i miei pensieri erano rivolti solo al futuro, vedevo già i pannolini, i bavaglini, il lettino e quel fagotto in braccio a me o al mio compagno…La decisione era presa e con mia grande sorpresa era stato così naturale e molto più facile di quello che pensavo.
Oggi la mia bambina ha 10 mesi, sta bene, è vivace e una mangiona: la fatica è stata ed è tanta, ho patito il parto, le notti senza dormire e il cambiamento radicale che ha avuto la mia vita ma… sono davvero contenta di non aver dato ascolto alle prime sensazioni che ho avuto, alla paura e alle convinzioni che avevo circa quelli che erano i miei diritti di donna .E’ difficile non scadere nella retorica, perché mi rendo conto che in queste situazioni si dicono sempre le stesse cose: sono felice, la fatica passa quando mi sorride e vedo i suoi progressi ma vi assicuro che è proprio così. Ho paura del futuro, credo di avere tutte le paure di ogni genitore ma sono contenta di aver fatto quella che col tempo si è rivelata la scelta giusta.